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NASA: le piante assorbono sempre meno CO2
Ecco un interessante studio della NASA sulla diminuzione dell’assorbimento di CO2 da parte delle piante a causa dei cambiamenti climatici in atto: l’assorbimento della CO2, gas che continua ad aumentare in atmosfera, può venire limitato da effetti del riscaldamento globale come la ridotta umidità del suolo o dalla carenza di nutrienti quali azoto e fosforo: purtroppo anche le piante soffrono degli effetti dell’inquinamento. Qui il link:
https://science.sciencemag.org/content/370/6522/1295
Piante pallide per mitigare il cambiamento climatico
Le nuove ricerche che sono in atto per mitigare il riscaldamento globale causato dall’effetto serra vedono ancora il regno vegetale in primo piano.
Le piante, infatti, non solo assorbono CO2 riducendone la concentrazione in atmosfera, ma riflettano anche parte della radiazione solare. Partendo da questo presupposto, ricercatori dell’IBE-CNR e dell’Università di Verona, hanno dimostrato che piante con basso contenuto di clorofilla, quindi più “pallide”, riflettendo molta più radiazione solare, non contribuiscono al riscaldamento della superficie terrestre, pur mantenendo la stessa capacità produttiva se non superiore.
La ricerca è stata svolta su piante di soia, ora sono sotto studio piante arboree (Robinia pseudoacacia L. varietà “Frisia”) che, se utilizzate nella forestazione urbana, possono maggiormente contribuire all’effetto del raffrescamento estivo nelle città, senza dimenticare il piacevole impatto visivo fornito dalle diverse tonalità di verde.
Ecco qui il link all’articolo https://doi.org/10.1111/gcb.15470
Inquinamento atmosferico e diffusione di Coronavirus nella popolazione: esiste una correlazione? Analisi del CNR – Istituto per la BioEconomia
A cura di RITA BARALDI e LUISA NERI
Ricercatrici IBE-CNR Bologna
Contesto
Dall’inizio di questa terribile epidemia, la società e la comunità scientifica si stanno chiedendo come mai i casi di infezione da coronavirus siano così alti in alcune regioni, come in particolare in Lombardia ma anche in Veneto ed Emilia Romagna. Capire se ci siano cause specifiche che hanno provocato questo dramma sanitario, e quali siano, è di estrema importanza per gli specialisti che studiano approfonditamente questi virus e le epidemie. Molti virologi affermano che si possono fare infinite ipotesi con criteri epidemiologici per capire i motivi che possono favorire la diffusione e la permanenza del virus: da quelli demografici (età e sesso), alla resistenza agli antibiotici, ai comportamenti sociali, alle abitudini alimentari e a quelli ambientali (qualità dell’aria). Per quanto riguarda i fattori ambientali, il mondo scientifico sta focalizzando l’analisi sulle caratteristiche delle regioni attualmente più colpite che si trovano nella Pianura Padana, una delle zone più inquinate d’Europa. In questo bacino risiede il 40% della popolazione italiana -oltre 23 milioni di persone- e in quest’area viene prodotto oltre il 50% del Pil nazionale. Questo comporta elevatissime emissioni di inquinanti in atmosfera, emissioni legate all’ elevata industrializzazione, all’agricoltura e agli allevamenti intensivi nel bacino padano. Inoltre, nella Pianura Padana,circondata su tre lati da Alpi e Appennini, la conformazione orografica e le particolari condizioni meteoclimatiche, caratterizzate da venti deboli e quindi da un’elevata stabilità atmosferica, rendono molto difficile un efficiente ricambio d’aria e quindi la dispersione degli inquinanti, provocando frequenti superamenti dei valori limite per polveri, ossidi di azoto e ozono.
Inquinamento e coronavirus
Recentemente il dibattito sulla possibile correlazione tra inquinamento da polveri e diffusione di coronavirus nella popolazione si è fatto più acceso, a seguito della pubblicazione di documenti su siti web e di una prima analisi sulla diffusione del COVID-19 in Italia in relazione ai superamenti dei limiti di particolato atmosferico inalabile, le PM10 ad opera di ricercatori Universitari e della Società Italiana di Medicina Ambientale (Position Paper, 2020). Tale studio, infatti, afferma che “la velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico che ha esercitato un’azione di vettore e di impulso”. Siccome questa questione scientifica è molto rilevante e moltissimi ricercatori in Italia ed all’estero ci stanno lavorando, è stato divulgato un ulteriore documento con alcune considerazioni personali di ricercatori della Società Italiana di Aerosol (IAS), costituita da 150 ricercatori esperti sulle problematiche del particolato atmosferico provenienti da Università, Enti di Ricerca, Agenzie regionali e provinciali per la protezione ambientale e dal settore privato. Questa informativa, condivisa anche dall’ Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna (ARPAE), afferma che “ad oggi le conoscenze sull’interazione tra livelli di inquinamento da PM e la diffusione del COVID-19 sono ancora molto limitate e quindi bisogna utilizzare la massima cautela nell’interpretazione dei dati disponibili”.
E’ noto da studi epidemiologici che l’esposizione, più o meno prolungata, ad alte concentrazioni di PM aumenta la suscettibilità a malattie respiratorie croniche e cardiovascolari, fino a portare, nei casi più gravi, alla morte (Boldo et al., 2006; Analitis et al., 2006). Sebbene una serie di studi indichi associazioni tra esposizione agli inquinanti atmosferici e aumento del rischio di infezioni da virus respiratori, i potenziali meccanismi che mediano questi effetti sono in gran parte inesplorati. Pertanto, sono necessari ulteriori studi, sia epidemiologici che meccanicistici, per aumentare la comprensione di come l’esposizione agli inquinanti atmosferici possa influenzare le infezioni da virus respiratori (Ciencewicki e Jaspers, 2007).
E’ anche noto che nel Nord d’Italia, soprattutto nella pianura Padana, durante il periodo invernale si verifichino alte concentrazioni di PM, con sforamenti più o meno frequenti dei limiti consentiti dalla legge (DL 13 agosto 2010 n. 155). Mentre si può affermare che condizioni di bassa qualità dell’aria possono peggiorare la situazione sanitaria dei contagiati da questo particolare coronavirus, “il periodo di monitoraggio disponibile per l’indagine epidemiologica sul coronavirus è ancora troppo limitato per trarre conclusioni scientificamente solide in relazione ai moltissimi fattori che influenzano il tasso di crescita del contagio”. L’ipotesi di maggiore suscettibilità al contagio al COVID-19 dovuto all’esposizione alle polveri atmosferiche necessita quindi di ulteriori ricerche accurate, approfondite e svolte su periodi più lunghi.
Anche l’ipotesi che il particolato atmosferico possa agire come substrato per il trasporto del virus aumentando così il ritmo del contagio, basata su lavori scientifici effettuati per altri virus (Cao et al., 2014), non è però confermata dalle conoscenze attuali per il COVID-19, “così come non sono ancora del tutto noti il tempo di vita del virus sulle superfici ed i fattori che lo influenzano”. Alcune condizioni meteorologiche, quali la bassa temperatura e l’elevata umidità atmosferica, tipiche in questo periodo nel Nord Italia, possono creare un ambiente che favorisce la sopravvivenza del virus, ma non è possibile stabilire un rapporto di causa-effetto.
Alla luce di tutte queste considerazioni, come affermato dall’ IAS, appare quindi parziale e prematura l’affermazione che esista un rapporto diretto tra numero di superamenti dei livelli di soglia del PM e contagi da COVID-19. “Allo stato attuale delle conoscenze l’eventuale effetto dell’inquinamento da PM sul contagio da COVID-19 rimane quindi una ipotesi che dovrà essere accuratamente valutata con indagini estese ed approfondite”.
Qualità dell’aria
E’ interessante notare che, a seguito delle misure di limitazione introdotte dal Governo per l’emergenza Coronavirus, il biossido di azoto, uno dei principali inquinanti dell’atmosfera, sembra in diminuzione nelle regioni del Nord, come è stato già evidenziato anche per la Cina. Gli esperti del Sistema Nazionale di Protezione Ambientale (SNPA, 2020), grazie al programma Copernicus e a rilevazioni sul territorio, stimano una diminuzione dell’ordine del 50% nella Pianura Padana. Più complessa è invece la risposta delle polveri fini (PM10) perché anche se in parte sono emesse direttamente, in larga parte sono prodotte dalla trasformazione di altre sostanze reattive, quali l’ammoniaca, gli ossidi di azoto, i composti organici volatili, derivanti da molte fonti diverse.
I primi dati di ARPA Veneto indicano che non ci sia stata una drastica riduzione delle PM in seguito alla riduzione del traffico autoveicolare. D’altra parte si sa che il traffico impatta principalmente sulle emissioni di ossidi di azoto, mentre una percentuale significativa del PM10 viene emessa principalmente dal settore del riscaldamento civile, a cui poi si aggiunge quella parte di particolato di origine secondaria citata prima. E’ quindi un po’ prematuro trarre qualsiasi conclusione perché occorrono ancora indagini più estese.
Un miglioramento della qualità dell’aria nelle nostre regioni, pur se causato da queste condizioni di emergenza, è sicuramente un fattore positivo, e può portare a riflettere sull’influenza delle attività antropiche sul grosso problema dell’inquinamento e dei correlati cambiamenti climatici in atto.
I benefici delle piante
In questo contesto, occorre ricordare l’importante contributo che le piante, sia arboree che arbustive ed erbacee, possono fornire al miglioramento della qualità dell’aria, e dunque alla nostra salute, specialmente nelle regioni del Nord Italia così inquinate. Infatti, tutte le piante assorbono anidride carbonica durante il processo della fotosintesi liberando ossigeno nell’atmosfera e, con un meccanismo fisiologico simile, possono assorbire anche i gas inquinanti come gli ossidi di azoto e l’ozono. Inoltre, grazie a particolari strutture fogliari come i peli e le cere, possono trattenere le dannose polveri sottili contribuendo a diminuirne la concentrazione in atmosfera (Baraldi et al., 2019 a – b). Diversi studiosi hanno osservato che in aree caratterizzate da un maggior verde residenziale si riduce il rischio di mortalità dovuta, in prevalenza, a malattie respiratorie e cardiovascolari causate dall’inquinamento atmosferico (Gascon et al., 2016).
Contenimento del contagio e prospettive
E’ doveroso concludere ricordando che, sulla base delle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), risulta fondamentale per il contenimento del contagio rispettare il distanziamento sociale attuato mantenedo le opportune distanze tra le persone e, in generale, seguendo le regole inserite nei Decreti e Ordinanze finora emesse a livello regionale e nazionale. Tutto questo in attesa che i tanti specialisti del settore sanitario, riescano a identificare cure efficaci per guarire dalle patologie causate dal COVID-19, e anche vaccini che ci consentano di acquisire immunità al virus stesso. Per questo motivo, accogliamo con grande entusiasmo e soddisfazione la recente notizia che proprio in Italia, e in particolare in provincia di Bologna, sono state identificate su miliardi di molecole le prime 40 che potrebbero avere il potere di fermare il Coronavirus. Tutto questo grazie ad un maxi-progetto finanziato dall’ Unione Europea e al supercomputer del consorzio universitario Cineca (https://www.cineca.it/) di Casalecchio di Reno, il più grande cervellone digitale italiano e tra i più importanti al mondo, che avrebbe trovato un ‘pacchetto’ di molecole che ora dovrà affrontare test in laboratorio e biologici per l’individuazione della sostanza più adatta per combattere il COVID-19. Solo il costante impegno nell’analisi, nello studio e nella ricerca scientifica profuso da tanti medici, virologi, infettivologi, epidemiologi, biologici e tutti gli operatori del settore medico- sanitario e di quelli ad esso collegati potranno indicarci le soluzioni migliori per uscire da questo dramma sanitario che il mondo intero sta affrontando.
Documento originale: https://bit.ly/2WGmPh4
Letteratura citata
– Analitis A., Katsouyanni K., Dimakopoulou K., Samoli E., Nikoloulopoulos A. K., Petasakis Y., Touloumi G., Schwartz J., Anderson H. R., Cambra K., Forastiere F., Zmirou D., Vonk J. M., Clancy L., Kriz B., Bobvos J., Pekkanen J. Short-term effects of ambient particles o cardiovasular and respiratory mortality. Epidemiology 2006; 17: 230–233
– ARPA Emilia Romagna. https://www. Arpae.it
– ARPA Veneto. https://www.arpa.veneto.it/arpavinforma/comunicati-stampa/archivio/comunicati-2020/inquinamento-dellaria-in-veneto.-perche-la-riduzione-del-traffico-per-l2019emergenza-covid-non-incide-sulle-polveri
– Baraldi, R., Neri, L., Costa, F., Facini, O., Rapparini, F. and Carriero, G., 2019a. Ecophysiological and micromorphological characterization of green roof vegetation for urban mitigation. Urban forestry & urban greening, 37, pp.24-32.
– Baraldi, R., Chieco, C., Neri, L., Facini, O., Rapparini, F., Morrone, L., Rotondi, A. and Carriero, G., 2019b. An integrated study on air mitigation potential of urban vegetation: From a multi-trait approach to modeling. Urban Forestry & Urban Greening, 41, pp.127-138.
– Boldo E., Medina S., LeTertre A., Hurley F., Mucke H. G., Ballester F., Aguilera I., Eilstein D. Apheis: Health impact assessment of long-term exposure to PM(2.5) in 23 European cities. Eur. J. Epidemiol. 2006; 21: 449–458
– Cao, C., Jiang, W., Wang, B., Fang, J., Lang, J., Tian, G., Jiang, J. and Zhu, T.F., 2014. Inhalable microorganisms in Beijing’s PM2. 5 and PM10 pollutants during a severe smog event. Environmental science & technology, 48(3), pp.1499-
– Ciencewicki, J. and Jaspers, I., 2007. Air pollution and respiratory viral infection. Inhalation toxicology, 19(14), pp.1135-1146.
– Gascon, M., Triguero-Mas, M., Martínez, D., Dadvand, P., Rojas-Rueda, D., Plasència, A. and Nieuwenhuijsen, M.J., 2016. Residential green spaces and mortality: a systematic review. Environment international, 86, pp.60-67.
– IAS, 2020. Contributo IAS alla discussione sulla relazione tra inquinamento da particolato atmosferico e diffusione del COVID-19. Nota informativa: Informativa sulla relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione del COVID-19. http://www.iasaerosol.it/it/news-ita/96-contributo-ias-alla-discussione-sulla-relazione-tra-inquinamento-da-particolato-atmosferico-e-diffusione-del-covid-19
– Position Paper 2020. Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione. http://www.simaonlus.it/wpsima/wp-content/uploads/2020/03/COVID19_Position-Paper_Relazione-circa-l%E2%80%99effetto-dell%E2%80%99inquinamento-da-particolato-atmosferico-e-la-diffusione-di-virus-nella-popolazione.pdf
– SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) 2020. Pianura Padana, biossido di azoto (NO2) graduale riduzione della concentrazione nelle ultime settimane. Fonte ISPRA http://www.isprambiente.gov.it/it/evidenza/snpa/pianura-padana-biossido-di-azoto-no2-graduale-riduzione-della-concentrazione-nelle-ultime-settimane
L’impatto della siccità e della salinità sullo Storace Americano (Liquidambar styraciflua L.): le risposte ecofisiologiche della pianta in contesto urbano
Rita Baraldi1, Arkadiusz Przybysz2, Osvaldo Facini1, Lorenzo Pierdonà1, Giulia Carriero1, Gianpaolo Bertazza1 e Luisa Neri1
Riassunto: Con questo lavoro abbiamo voluto studiare gli effetti dei cambiamenti climatici, in particolare la ridotta quantità dell’acqua e la salinità del suolo, sul Liquidambar styraciflua, una specie ornamentale ampiamente diffusa nelle nostre città conosciuto più comunemente lo Storace Americano, per verificarne la resistenza in condizioni avverse che si possono verificare in contesti urbani. In particolare, abbiamo considerato l’impatto degli stress idrici e salini, sia da soli che in combinazione, su diversi processi fisiologici fondamentali per la sopravvivenza delle piante e per la difesa dagli stress quali: potenziale idrico fogliare, gli scambi gassosi, la fluorescenza della clorofilla a, il ciclo delle xantofille e l’emissione dell’isoprene. Lo studio ha dimostrato che in generale lo stress idrico ha un impatto fisiologico negativo più rapido mentre lo stress salino è più duraturo. Entrambi gli stress influiscono sulle risposte fisiologiche delle piante diminuendo l’attività fotosintetica, la traspirazione e la conduttanza stomatica, processi che sono indispensabili per la crescita e la sopravvivenza della pianta stessa.
Lo studio ha dimostrato che, in seguito a reidratazione e all’eliminazione del sale in eccesso, il Liquidambar ha la capacità di recuperare completamente i suoi parametri fisiologici, non subendo danni permanenti all’apparato fotosintetico. Le piante di Liquidambar quindi hanno la capacità di resistere e sopravvivere anche in ambiente urbano a moderati eventi di siccità e salinità attivando meccanismi di difesa che conferiscono tolleranza agli stress ambientali.
Contesto: Gli alberi forniscono un’ampia gamma di servizi ecosistemici in ambiente urbano, portando benefici per l’ambiente, il clima e i cittadini. Infatti possono migliorare l’ambiente urbano riducendo l’effetto dell’isola di calore (cioè il fenomeno che determina un microclima più caldo all’interno delle aree urbane cittadine, rispetto alle circostanti zone periferiche e rurali), sequestrando l’anidride carbonica (CO2) e riducendo gli inquinanti atmosferici.
Tuttavia, le prestazioni e la funzionalità degli alberi urbani possono subire limitazioni a causa di diversi fattori quali le attività umane, una ridotta illuminazione, gli inquinanti ambientali, una ridotta disponibilità di acqua, temperature estreme e la compattazione del suolo; inoltre alcuni di questi fattori possono essere aggravati dai cambiamenti climatici. Il deficit idrico e la salinità del suolo e sono i due principali stress ambientale che limitano significativamente la crescita delle piante e la durata della loro vita in città. Sfortunatamente, questi fattori stanno diventando sempre più diffusi in molte regioni e la loro gravità continuerà ad aumentare. Nelle città, la siccità è indotto da una maggiore evapotraspirazione e da un volume limitato del suolo che impedisce di trattenere una quantità sufficiente di acqua nel suolo stesso. L’elevata salinità del suolo si verifica principalmente nelle aree urbane delle zone temperate e boreali a causa dell’uso prolungato di sali antigelo, generalmente cloruro di sodio, durante il periodo invernale. La dispersione del sale dalle superfici pavimentate al terreno circostante provoca un picco di salinità nelle zone esplorate dalle radici lungo la strada, soprattutto all’inizio della stagione di crescita, quando gli alberi sono più sensibili. Gli effetti negativi dei sali antigelo possono essere amplificati da altri fattori ambientali, come la siccità. Questi stress hanno effetti negativi sui servizi ecosistemici delle piante, agendo su risposte fisiologiche, biochimiche e molecolari come la chiusura stomatica, la riduzione dello scambio di gas etc. Lo stato funzionale dell’apparato fotosintetico è un indicatore fisiologico della sensibilità delle piante agli stress abiotici ambientali. Le piante hanno la capacità di attivare diversi meccanismi fisiologici di fotoprotezione o antiossidativi per proteggere l’apparato fotosintetico da danni provocati da stress, come la dissipazione termica o chimica della luce o l’emissione di sostanze organiche volatili (VOC) come l’soprene. L’isoprene è però un composto altamente reattivo, che nel contesto urbano può portare alla produzione di ozono troposferico (O3), un inquinante secondario e gas serra formato in presenza di ossidi di azoto (NOx) e VOC. La formazione fotochimica di inquinanti secondari è un problema ambientale serio a causa del loro effetto negativo su qualità dell’aria e salute umana. Quindi, è importante valutare le risposte delle piante ai fattori di stress urbani, tenendo presente l’influenza dell’emissione di BVOC, soprattutto isoprene, sulla chimica dell’atmosfera.
In questo studio, abbiamo approfondito come gli effetti di livelli moderati di siccità, stress salino e loro la combinazione influenzino il potenziale idrico fogliare, l’efficienza dell’apparato fotosintetico e l’emissione di isoprene nello storace americano, una specie di latifoglie originaria del Nord America, utilizzata nelle città europee per i suoi valori estetici ma che è un’elevata emettitrice di isoprene, e sensibile alla salinità e alla carenza idrica.
Conclusioni: Nel complesso, questo studio ha evidenziato l’importanza delle risposte fisiologiche dello Storace Americano nel far fronte al deficit idrico e allo stress salino che si verificano nelle città a diverse intensità durante la crescita stagionale. In seguito a siccità e stress salino transitori, l’efficienza fotosintetica di queste piante è notevolmente diminuita, come pure l’emissione di isoprene ma con una intensità minore, con un concomitante aumento dei fenomeni di dissipazione termica e chimica del calore. Questo ha protetto da danni permanenti l’apparato fotosintetico permettendo così alle piante di sopravvivere e recuperare la loro funzionalità fisiologica quando la pressione degli stress è terminata.
In conclusione, questo studio migliora la nostra comprensione di quanto sia la limitata disponibilità di acqua che la salinità influenzino la fotosintesi e l’emissione di isoprene, comprensione che è vitale per prevedere l’interazione tra biosfera e atmosfera nelle aree urbane fortemente popolate. Lo Storace Americano è in grado di resistere e sopravvivere a eventi di siccità e salinità limitati, attivando meccanismi di difesa che consentono il mantenimento delle prestazioni della pianta in condizioni di stress e il recupero dopo la siccità stagionale e in seguito all’incremento della salinità del suolo, senza aumentare l’emissione nell’atmosfera di isoprene, composto altamente reattivo.
L’articolo originale della rivista