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Inquinamento atmosferico e diffusione di Coronavirus nella popolazione: esiste una correlazione? Analisi del CNR – Istituto per la BioEconomia

A cura di RITA BARALDI e LUISA NERI
Ricercatrici IBE-CNR Bologna

Documento originale: https://bit.ly/2WGmPh4


Contesto

Dall’inizio di questa terribile epidemia, la società e la comunità scientifica si stanno chiedendo come mai i casi di infezione da coronavirus siano così alti in alcune regioni, come in particolare in Lombardia ma anche in Veneto ed Emilia Romagna. Capire se ci siano cause specifiche che hanno provocato questo dramma sanitario, e quali siano, è di estrema importanza per gli specialisti che studiano approfonditamente questi virus e le epidemie. Molti virologi affermano che si possono fare infinite ipotesi con criteri epidemiologici per capire i motivi che possono favorire la diffusione e la permanenza del virus: da quelli demografici (età e sesso), alla resistenza agli antibiotici, ai comportamenti sociali, alle abitudini alimentari e a quelli ambientali (qualità dell’aria). Per quanto riguarda i fattori ambientali, il mondo scientifico sta focalizzando l’analisi sulle caratteristiche delle regioni attualmente più colpite che si trovano nella Pianura Padana, una delle zone più inquinate d’Europa. In questo bacino risiede il 40% della popolazione italiana -oltre 23 milioni di persone- e in quest’area viene prodotto oltre il 50% del Pil nazionale. Questo comporta elevatissime emissioni di inquinanti in atmosfera, emissioni legate all’ elevata industrializzazione, all’agricoltura e agli allevamenti intensivi nel bacino padano. Inoltre, nella Pianura Padana,circondata su tre lati da Alpi e Appennini, la conformazione orografica e le particolari condizioni meteoclimatiche, caratterizzate da venti deboli e quindi da un’elevata stabilità atmosferica, rendono molto difficile un efficiente ricambio d’aria e quindi la dispersione degli inquinanti, provocando frequenti superamenti dei valori limite per polveri, ossidi di azoto e ozono.

Inquinamento e coronavirus

Recentemente il dibattito sulla possibile correlazione tra inquinamento da polveri e diffusione di coronavirus nella popolazione si è fatto più acceso, a seguito della pubblicazione di documenti su siti web e di una prima analisi sulla diffusione del COVID-19 in Italia in relazione ai superamenti dei limiti di particolato atmosferico inalabile, le PM10 ad opera di ricercatori Universitari e della Società Italiana di Medicina Ambientale (Position Paper, 2020). Tale studio, infatti, afferma che “la velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico che ha esercitato un’azione di vettore e di impulso”. Siccome questa questione scientifica è molto rilevante e moltissimi ricercatori in Italia ed all’estero ci stanno lavorando, è stato divulgato un ulteriore documento con alcune considerazioni personali di ricercatori della Società Italiana di Aerosol (IAS), costituita da 150 ricercatori esperti sulle problematiche del particolato atmosferico provenienti da Università, Enti di Ricerca, Agenzie regionali e provinciali per la protezione ambientale e dal settore privato. Questa informativa, condivisa anche dall’ Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna (ARPAE), afferma che “ad oggi le conoscenze sull’interazione tra livelli di inquinamento da PM e la diffusione del COVID-19 sono ancora molto limitate e quindi bisogna utilizzare la massima cautela nell’interpretazione dei dati disponibili”.
E’ noto da studi epidemiologici che l’esposizione, più o meno prolungata, ad alte concentrazioni di PM aumenta la suscettibilità a malattie respiratorie croniche e cardiovascolari, fino a portare, nei casi più gravi, alla morte (Boldo et al., 2006; Analitis et al., 2006). Sebbene una serie di studi indichi associazioni tra esposizione agli inquinanti atmosferici e aumento del rischio di infezioni da virus respiratori, i potenziali meccanismi che mediano questi effetti sono in gran parte inesplorati. Pertanto, sono necessari ulteriori studi, sia epidemiologici che meccanicistici, per aumentare la comprensione di come l’esposizione agli inquinanti atmosferici possa influenzare le infezioni da virus respiratori (Ciencewicki e Jaspers, 2007).
E’ anche noto che nel Nord d’Italia, soprattutto nella pianura Padana, durante il periodo invernale si verifichino alte concentrazioni di PM, con sforamenti più o meno frequenti dei limiti consentiti dalla legge (DL 13 agosto 2010 n. 155). Mentre si può affermare che condizioni di bassa qualità dell’aria possono peggiorare la situazione sanitaria dei contagiati da questo particolare coronavirus, “il periodo di monitoraggio disponibile per l’indagine epidemiologica sul coronavirus è ancora troppo limitato per trarre conclusioni scientificamente solide in relazione ai moltissimi fattori che influenzano il tasso di crescita del contagio”. L’ipotesi di maggiore suscettibilità al contagio al COVID-19 dovuto all’esposizione alle polveri atmosferiche necessita quindi di ulteriori ricerche accurate, approfondite e svolte su periodi più lunghi.
Anche l’ipotesi che il particolato atmosferico possa agire come substrato per il trasporto del virus aumentando così il ritmo del contagio, basata su lavori scientifici effettuati per altri virus (Cao et al., 2014), non è però confermata dalle conoscenze attuali per il COVID-19, “così come non sono ancora del tutto noti il tempo di vita del virus sulle superfici ed i fattori che lo influenzano”. Alcune condizioni meteorologiche, quali la bassa temperatura e l’elevata umidità atmosferica, tipiche in questo periodo nel Nord Italia, possono creare un ambiente che favorisce la sopravvivenza del virus, ma non è possibile stabilire un rapporto di causa-effetto.
Alla luce di tutte queste considerazioni, come affermato dall’ IAS, appare quindi parziale e prematura l’affermazione che esista un rapporto diretto tra numero di superamenti dei livelli di soglia del PM e contagi da COVID-19. “Allo stato attuale delle conoscenze l’eventuale effetto dell’inquinamento da PM sul contagio da COVID-19 rimane quindi una ipotesi che dovrà essere accuratamente valutata con indagini estese ed approfondite”.

Qualita dell’aria

E’ interessante notare che, a seguito delle misure di limitazione introdotte dal Governo per l’emergenza Coronavirus, il biossido di azoto, uno dei principali inquinanti dell’atmosfera, sembra in diminuzione nelle regioni del Nord, come è stato già evidenziato anche per la Cina. Gli esperti del Sistema Nazionale di Protezione Ambientale (SNPA, 2020), grazie al programma Copernicus e a rilevazioni sul territorio, stimano una diminuzione dell’ordine del 50% nella Pianura Padana. Più complessa è invece la risposta delle polveri fini (PM10) perché anche se in parte sono emesse direttamente, in larga parte sono prodotte dalla trasformazione di altre sostanze reattive, quali l’ammoniaca, gli ossidi di azoto, i composti organici volatili, derivanti da molte fonti diverse.
I primi dati di ARPA Veneto indicano che non ci sia stata una drastica riduzione delle PM in seguito alla riduzione del traffico autoveicolare. D’altra parte si sa che il traffico impatta principalmente sulle emissioni di ossidi di azoto, mentre una percentuale significativa del PM10 viene emessa principalmente dal settore del riscaldamento civile, a cui poi si aggiunge quella parte di particolato di origine secondaria citata prima. E’ quindi un po’ prematuro trarre qualsiasi conclusione perché occorrono ancora indagini più estese.
Un miglioramento della qualità dell’aria nelle nostre regioni, pur se causato da queste condizioni di emergenza, è sicuramente un fattore positivo, e può portare a riflettere sull’influenza delle attività antropiche sul grosso problema dell’inquinamento e dei correlati cambiamenti climatici in atto.

I benefici delle piante
In questo contesto, occorre ricordare l’importante contributo che le piante, sia arboree che arbustive ed erbacee, possono fornire al miglioramento della qualità dell’aria, e dunque alla nostra salute, specialmente nelle regioni del Nord Italia così inquinate. Infatti, tutte le piante assorbono anidride carbonica durante il processo della fotosintesi liberando ossigeno nell’atmosfera e, con un meccanismo fisiologico simile, possono assorbire anche i gas inquinanti come gli ossidi di azoto e l’ozono. Inoltre, grazie a particolari strutture fogliari come i peli e le cere, possono trattenere le dannose polveri sottili contribuendo a diminuirne la concentrazione in atmosfera (Baraldi et al., 2019 a – b). Diversi studiosi hanno osservato che in aree caratterizzate da un maggior verde residenziale si riduce il rischio di mortalità dovuta, in prevalenza, a malattie respiratorie e cardiovascolari causate dall’inquinamento atmosferico (Gascon et al., 2016).

Contenimento del contagio e prospettive
E’ doveroso concludere ricordando che, sulla base delle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), risulta fondamentale per il contenimento del contagio rispettare il distanziamento sociale attuato mantenedo le opportune distanze tra le persone e, in generale, seguendo le regole inserite nei Decreti e Ordinanze finora emesse a livello regionale e nazionale.
Tutto questo in attesa che i tanti specialisti del settore sanitario, riescano a identificare cure efficaci per guarire dalle patologie causate dal COVID-19, e anche vaccini che ci consentano di acquisire immunità al virus stesso. Per questo motivo, accogliamo con grande entusiasmo e soddisfazione la recente notizia che proprio in Italia, e in particolare in provincia di Bologna, sono state identificate su miliardi di molecole le prime 40 che potrebbero avere il potere di fermare il Coronavirus. Tutto questo grazie ad un maxi-progetto finanziato dall’ Unione Europea e al supercomputer del consorzio universitario Cineca (https://www.cineca.it/ ) di Casalecchio di Reno, il più grande cervellone digitale italiano e tra i più importanti al mondo, che avrebbe trovato un ‘pacchetto’ di molecole che ora dovrà affrontare test in laboratorio e biologici per l’individuazione della sostanza più adatta per combattere il COVID-19. Solo il costante impegno nell’analisi, nello studio e nella ricerca scientifica profuso da tanti medici, virologi, infettivologi, epidemiologi, biologici e tutti gli operatori del settore medico- sanitario e di quelli ad esso collegati potranno indicarci le soluzioni migliori per uscire da questo dramma sanitario che il mondo intero sta affrontando.

Documento originale: https://bit.ly/2WGmPh4

Letteratura citata
– Analitis A., Katsouyanni K., Dimakopoulou K., Samoli E., Nikoloulopoulos A. K., Petasakis Y., Touloumi G., Schwartz J., Anderson H. R., Cambra K., Forastiere F., Zmirou D., Vonk J. M., Clancy L., Kriz B., Bobvos J., Pekkanen J. Short-term effects of ambient particles o cardiovasular and respiratory mortality. Epidemiology 2006; 17: 230–233
– ARPA Emilia Romagna. https://www. Arpae.it
– ARPA Veneto. https://www.arpa.veneto.it/arpavinforma/comunicati-stampa/archivio/comunicati-2020/inquinamento-dellaria-in-veneto.-perche-la-riduzione-del-traffico-per-l2019emergenza-covid-non-incide-sulle-polveri
– Baraldi, R., Neri, L., Costa, F., Facini, O., Rapparini, F. and Carriero, G., 2019a. Ecophysiological and micromorphological characterization of green roof vegetation for urban mitigation. Urban forestry & urban greening, 37, pp.24-32.
– Baraldi, R., Chieco, C., Neri, L., Facini, O., Rapparini, F., Morrone, L., Rotondi, A. and Carriero, G., 2019b. An integrated study on air mitigation potential of urban vegetation: From a multi-trait approach to modeling. Urban Forestry & Urban Greening, 41, pp.127-138.
– Boldo E., Medina S., LeTertre A., Hurley F., Mucke H. G., Ballester F., Aguilera I., Eilstein D. Apheis: Health impact assessment of long-term exposure to PM(2.5) in 23 European cities. Eur. J. Epidemiol. 2006; 21: 449–458
– Cao, C., Jiang, W., Wang, B., Fang, J., Lang, J., Tian, G., Jiang, J. and Zhu, T.F., 2014. Inhalable microorganisms in Beijing’s PM2. 5 and PM10 pollutants during a severe smog event. Environmental science & technology, 48(3), pp.1499-
– Ciencewicki, J. and Jaspers, I., 2007. Air pollution and respiratory viral infection. Inhalation toxicology, 19(14), pp.1135-1146.
– Gascon, M., Triguero-Mas, M., Martínez, D., Dadvand, P., Rojas-Rueda, D., Plasència, A. and Nieuwenhuijsen, M.J., 2016. Residential green spaces and mortality: a systematic review. Environment international, 86, pp.60-67.
– IAS, 2020. Contributo IAS alla discussione sulla relazione tra inquinamento da particolato atmosferico e diffusione del COVID-19. Nota informativa: Informativa sulla relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione del COVID-19. http://www.iasaerosol.it/it/news-ita/96-contributo-ias-alla-discussione-sulla-relazione-tra-inquinamento-da-particolato-atmosferico-e-diffusione-del-covid-19
– Position Paper 2020. Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione. http://www.simaonlus.it/wpsima/wp-content/uploads/2020/03/COVID19_Position-Paper_Relazione-circa-l%E2%80%99effetto-dell%E2%80%99inquinamento-da-particolato-atmosferico-e-la-diffusione-di-virus-nella-popolazione.pdf
– SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) 2020. Pianura Padana, biossido di azoto (NO2) graduale riduzione della concentrazione nelle ultime settimane. Fonte ISPRA http://www.isprambiente.gov.it/it/evidenza/snpa/pianura-padana-biossido-di-azoto-no2-graduale-riduzione-della-concentrazione-nelle-ultime-settimane